top of page

Streghe e capitalismo. Dialogo con Silvia Federici

19 de abril del 2020

foto-portada.jpg

     Preservare la memoria storica è cruciale se dobbiamo trovare un’alternativa al capitalismo, perché ciò sarà possibile solo se saremo capaci di ascoltare le voci di coloro che hanno percorso lo stesso cammino.

 

          Calibano e la Strega è un libro pubblicato da Silvia Federici nel 2004, frutto di una ricerca iniziata già a metà degli anni ’70, in collaborazione con Leopoldina Fortunati. Inizialmente, la ricerca culminò nel 1984 con la pubblicazione de Il Grande Calibano. Storia del corpo sociale ribelle nella prima fase del capitale. Soltanto in seguito l’autrice decise di sviluppare ulteriormente questa ricerca, che in brevissime parole, si propone di esplorare la dimensione femminile nella trasformazione da una società feudale ad una di matrice capitalista, dimostrando che le logiche di quest’ultima, non sarebbero potute affermarsi senza l’imposizione di un’egemonia patriarcale.

Nella sua opera Calibano e la Strega, Silvia Federici illustra una storia caratterizzata da molteplici assi di potere ed oppressione, i quali si intrecciano facendo emergere realtà complesse e variegate. Attraverso un’attenta analisi di questi assi, intrecci e sviluppi sociali, l’obiettivo sembra essere quello di far luce sull’origine di secoli di oppressione e sfruttamento di genere, sia sul piano sociale che su quello economico. E’ interessante come le radici di tale sfruttamento in parte affondino in trasformazioni sociali ed economiche, in particolare, emblematico è il cosiddetto ‘passaggio’ da un sistema feudale ad uno di matrice capitalista. Pare infatti che proprio dietro a questo snodo storico e sociale, si nascondano dinamiche e relazioni cruciali per meglio capire le basi del moderno neoliberalismo patriarcale. Pertanto, attraverso una rilettura femminista della storia, questo libro si propone di evidenziare ed analizzare quelle dinamiche e relazioni nascoste, al fine di enfatizzare l’ulteriore svalutazione delle donne manifestatasi con l’avvento del capitalismo, nonché la più marcata definizione di ruoli di genere, femminilità e mascolinità intrinsecamente connessa alla rigida separazione tra sfera pubblica e privata imposta da quello stesso sistema. In altre parole, partendo dalla nozione Marxista di ‘accumulazione originaria’, Federici si propone di ridefinire l’istaurazione del capitalismo, ponendo l’accento sulle profonde trasformazioni sociali, in parte ignorate dalla tradizione Marxista, vissute e subite dalle donne.

La storia di Calibano e la Strega può essere inscritta nel contesto europeo del tardo medioevo. Nel ripercorrere questa storia, emerge un grande impegno teso ad evidenziare la costruzione di un’egemonia capitalista, il suo insediarsi sul piano sociale, ed ancor più, il suo ruolo centrale nel piantare il seme di un’egemonia patriarcale e misogina. Inoltre, siamo di fronte ad una narrazione popolare, non imposta dall’alto, né tantomeno distaccata da esperienze quotidiane, ma piuttosto, emersa dal profondo delle lotte e vite di coloro schiacciati ai margini di quel sistema sociale. Prima di lanciarci su questi intrecci storici, è però opportuno fare un passo indietro e soffermarsi sul titolo emblematico dell’opera Calibano e la Strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria. Questo titolo, infatti, già da solo contiene l’intreccio di quelli che possiamo definire come i tre maggiori livelli di dominio ed oppressione: razza, genere e classe. Attraverso questo intreccio, il titolo riflette la volontà di rappresentare una storia organica, femminista ma non per questo slegata da una dimensione maschile, di razza e di classe. Per dirlo in altri termini, siamo di fronte ad una storia intersezionale, complessa e polivocale.

Calibano e la strega sono due personaggi che si rifanno all’opera Shakespeariana La Tempesta, pur trovando parzialmente capovolti i rispettivi ruoli e significati. In Shakespeare Calibano riflette un personaggio bruto e animalesco, disumanizzato e dunque privato di qualsiasi sensibilità e moralità, ma anche schiavizzato, e quindi già vittima di una violenza razzista e classista. Federici identifica il corpo del personaggio Shakespeariano come già razzializzato, tuttavia non sembra riconoscere che la sua schiavizzazione di fatto implichi un’intersezione di razza e classe. In questo senso, ritengo che la novità fondamentale, nel Calibano dipinto dall’autrice, non sia tanto il suo impersonare una classe proletaria oppressa e subordinata, quanto piuttosto il suo essere elevato ad essere umano, sensibile e ribelle. Dall’altro lato, la strega, che nella commedia Shakespeariana non occupa che un posto marginale, investe un ruolo assolutamente centrale nell’opera di Federici. Infatti, questa figura si riferisce al fenomeno della caccia alle streghe, ed è il simbolo della donna emancipata ed eretica, la quale, in un modo o nell’altro, cerca di sabotare e di resistere ad un’egemonia capitalista, intimamente legata ad un sistema patriarcale che vuole controllarla ed annientarla.

In linea con il suddetto tentativo di annientare la donna ribelle, è necessario comprendere che perché il modello sociale ed economico capitalista potesse davvero affermarsi, era assolutamente necessario ridefinire la natura umana, al fine di disciplinarla e dominarla. Tale ridefinizione della persona, in parte, riuscì a sedimentarsi anche attraverso l’adozione della filosofia di Descartes da parte delle forze dominanti. Ci basti sapere che la filosofia Cartesiana si fondava sulla scissione tra anima e corpo. Secondo questa visione, quest’ultimo non era che una macchina, la quale poteva e doveva essere controllata e dominata dalla più alta ragione, eterea ed immateriale. In questo senso, la filosofia cartesiana implicitamente condona una nuova struttura sociale in cui il corpo viene degradato e disumanizzato, percepito esclusivamente attraverso logiche di efficienza e produzione.  In altre parole, quotando Federici, “il corpo in sé non aveva alcun valore: il corpo doveva morire perché potesse esistere la forza-lavoro”. Questa simbolica distruzione del corpo rappresenta uno snodo cruciale sia per l’affermarsi del capitalismo, sia per il radicarsi di una profonda misoginia sociale. Infatti, corpi di uomini e donne ormai disumanizzati, si trasformano rispettivamente in forza-lavoro, e nelle macchine di riproduzione di quest’ultima. In questo momento, la riproduzione sociale di uomini da asservire al mondo del lavoro, emerse come il bene più prezioso, in quanto necessaria per la riproduzione di corpi ‘bruti’ e proletari. Tuttavia, nonostante la centralità del ruolo riproduttivo della donna, questo viene subito mistificato, reso invisibile e giudicato come funzione intrinseca e ‘naturale’. Pertanto, piuttosto che essere il dovere o il lavoro della donna all’interno di un’egemonia capitalista, quello di produrre lavoratori da asservire agli ingranaggi dello sfruttamento economico e sociale, diventa la sua natura. All’interno di questo scenario, coloro le quali rifiutarono le catene di una maternità forzata, semplicemente dovevano essere eliminate, nella speranza di bruciare insieme a loro ogni spiraglio di vita alternativa. Detto ciò, nell’ambito di questa guerra contro le donne per il controllo dei loro corpi e apparati riproduttivi, la caccia alle streghe costituisce una delle armi utilizzate.

Il fatto che questa guerra alle donne sia essenzialmente legata alla necessità di riprodurre forza-lavoro all’interno della nascente società capitalista, ci fa concludere che la storia delle donne è indivisibile da una storia di classe. Detto ciò, e tornando brevemente ai tre assi di dominio ed oppressione universali, genere, razza e classe, ritengo sia opportuno riflettere sul loro profondo ed intrinseco intreccio. Infatti, sebbene questi assi siano spesso concepiti e trattati singolarmente, allineata alle tesi di Silvia Federici e di una tradizione femminista antirazzista e anticapitalista, sostengo che sia in realtà impossibile comprendere genere, razza e classe, come elementi rigidamente distinti ed isolati tra loro. In altre parole, dimensioni di genere, razza e classe, si intrecciano e dialogano l’una con l’altra, raccontando, quindi, le storie complesse di individui e gruppi, la cui subalternità esiste ed agisce su piani differenti e compositi. In questo senso, ciò che emerge è che la razza informa la classe allo stesso modo in cui il genere informa la classe. Il femminismo proposto dall’autrice, pertanto, è il riflesso di questa complessa visione della storia, delle forze egemoniche e delle lotte che ne hanno scandito i passi. Per meglio dire, si tratta di un femminismo percepito come una costellazione vasta e variegata, intersezionale e necessariamente collettiva. Questa visione, per finire, implica l’impossibilità ed addirittura la nocività, di un pensiero femminista che non tenga conto di queste intersezioni, di dinamiche sociali, economiche ed etniche che si estendano al di fuori del proprio Io.

Ricapitolando, abbiamo visto come la storia delle donne non possa essere pensata in maniera distinta rispetto ad una storia di classe. In questo senso, è emerso che per l’affermarsi del capitalismo, una guerra contro le donne sia stata necessaria al fine di assoggettarne i corpi e le funzioni riproduttive, con lo scopo di garantire il costante afflusso di corpi disumanizzati e trasformati in mera forza-lavoro. Inoltre, si è visto come tale guerra, sia stata inizialmente perpetrata attraverso una disumanizzazione dei corpi, i quali, seguendo la filosofia Cartesiana, divennero le prime macchine dell’universo capitalista, ancor prima di centrali elettriche e macchine a vapore. Detto ciò, tuttavia, è necessario ora riflettere sulle cause e le dinamiche che indussero la necessità di rompere con il sistema feudale, dunque trasformandolo nell’egemonia capitalista in auge ancora oggi.

Ripercorrendo la storia Europea a partire all’incirca dal periodo feudale del quindicesimo secolo, e facendo da subito attenzione a porre l’accento sull’intersezione di classe e genere, ciò che emerge è l’esistenza di un sistema di sfruttamento sociale ed economico. Una classe autoritaria si era già affermata durante questo periodo, il quale può quindi essere letto attraverso una lente di oppressione e subordinazione. In parole povere, uomini, e soprattutto, donne povere, sin da subito si presentano come soggetti subalterni, già vittime di una classe dominante. L’oppressione di queste donne, come già detto, aumentò radicalmente in quanto condizione necessaria per la costruzione di un nuovo sistema di egemonia capitalistica. Pongo qui l’accento sul verbo costruire, ad indicare esplicitamente il ruolo attivo dei grandi padroni feudali nel pensare e realizzare una nuova struttura economica e sociale. Seguendo questa linea, l’autrice riflette sulle dinamiche che indussero la classe dei proprietari terrieri a sancire una rottura nei confronti di un sistema feudale ormai saturo. Rottura che, pertanto, piuttosto che rappresentare una naturale evoluzione storica, deve essere considerata come attentamente costruita. Di conseguenza, quelle convinzioni che dipingono l’avvento del capitalismo come una naturale fase storica, slegata da dinamiche economiche e sociali, tutt’ad un tratto crollano. In altre parole, le radici del sistema capitalista contemporaneo, non affondano semplicemente in un’evoluzione storica, né tantomeno nel tentativo di migliorare la condizione umana. Al contrario, tali radici sono da trovarsi in secoli di ingiustizie e rivolte sociali, che fecero dall’avvento del capitalismo una controrivoluzione, nonché uno dei periodi più sanguinari della storia. Queste rivolte e lotte sociali, portate avanti da una classe contadina già sfruttata, vennero perciò finalmente stroncate da quella che già all’epoca era la classe dominante, quella dei padroni feudali, i mercanti ed i vescovi. Ciò che conta, è che proprio in queste lotte è possibile scovare le radici dell’egemonia capitalista e patriarcale. In quest’ottica, il capitalismo non è altro che una controrivoluzione, una reazione dei padroni feudali a secoli di lotte e rivolte, la soluzione imposta per risolvere una profonda crisi sociale.

Il capitalismo è stato la controrivoluzione che ha distrutto le possibilità che erano emerse nel corso della lotta antifeudale – possibilità che se realizzate ci avrebbero forse risparmiato l’immensa distruzione di vite e di ambiente naturale che ha segnato l’affermarsi dei rapporti capitalistici in tutto il mondo.

Durante questo fondamentale snodo storico, la classe dominante si impegnò per costruire un nuovo sistema economico e sociale che potesse ulteriormente controllare e subordinare le masse. Per usare altri termini, avendo visto il proprio potere vacillare a causa di lotte antifeudali, i padroni decisero di stringere la morsa, disumanizzando i corpi, distruggendo ogni forma di solidarietà sociale ed eliminando ogni spiraglio che si proponesse di intraprendere una vita alternativa. Tali repressioni, fecero di questo momento storico uno dei più violenti e sanguinari mai registrati.

Per quanto concerne il disciplinamento dei corpi umani, si è già parlato della riduzione di uomini e donne rispettivamente in forza-lavoro ed in macchine per la loro riproduzione. Se questa strategia è servita a porre le basi per una vera e propria guerra alle masse, quali sono gli sviluppi successivi di questa guerra? Nel riflettere su queste dinamiche, è fondamentale fare attenzione ai rapporti di genere, in quanto d’ora in poi ciascuna strategia utilizzata ed imposta, non fece che degradare ulteriormente la condizione femminile. Percependo i corpi proletari come bruta materialità, i signori feudali decisero di fare leva sugli istinti ‘animaleschi’ di questi corpi, per reindirizzare la loro ostilità, non più contro la classe dominante, ma piuttosto contro donne proletarie. In particolare, assistiamo alla liberalizzazione del sesso, o, in altre parole, alla legalizzazione dello stupro. Da questo momento, il seme misogino è piantato. Come se non bastasse, in linea con l’analisi di Federici, vediamo che le donne vengono spogliate di ogni credibilità e valore, e ciò implica che ogni uomo aveva il potere di distruggere una donna semplicemente accusandola di prostituzione. Queste misure, oltre a ridurre le donne a semplici grembi, si insediarono profondamente nella mente delle persone, le quali interiorizzarono la degradazione femminile imposta coercitivamente dall’egemonia misogina del tempo. Per quanto riguarda la caccia a streghe ed eretici, questa non è che un’ulteriore arma di coercizione, la quale riflette lo scopo di persuadere la società ad accettare la nuova struttura capitalista. Effettivamente, era necessario liberarsi di ogni ribelle e di ogni possibile alternativa all’egemonia imposta. Eretici e streghe, in questo senso, erano coloro che in un modo o nell’altro rifiutarono quest’egemonia, provando a sabotarla o semplicemente impegnandosi a costruire percorsi di vita alternativi e paralleli. La strega, in particolare, impersona la donna indipendente e ribelle, la quale rifiuta quei ruoli che, usando ora la forza e ora la persuasione, su di lei vengono imposti dall’alto di una classe autorevole già affermata. Ogni atteggiamento non in linea con questa nuova cosmologia morale e sociale viene letteralmente demonizzato. Soprattutto nell’ambito della riproduzione, vediamo che ogni tentativo di controllare il proprio corpo e la propria sessualità viene brutalmente condannato, così trasformando la maternità in un lavoro forzato.

Giungendo al termine della nostra analisi sull’origine della misoginia sociale, è necessario far menzione di un tassello importante: la religione. In particolare, è necessario articolare meglio il ruolo della religione, sia nell’imporsi di un’egemonia capitalista, sia nell’affermarsi di un sistema patriarcale. Abbiamo visto che la caccia alle streghe è stata una delle armi principali utilizzata dalla classe dominante durante la guerra contro le donne – guerra fondamentale per l’affermarsi di logiche capitaliste. Prima dello sviluppo della scienza moderna, dogmi religiosi e coscienze sociali erano profondamente interconnessi tra loro, peraltro rafforzandosi a vicenda. Possiamo dire, quindi, che la dimensione statale, insieme a quella ecclesiastica, collaboravano intensamente al fine di garantire un disciplinamento sociale e morale. Pertanto, quando parliamo dei potenti che imposero l’egemonia capitalista, la Chiesa non è esclusa. Tornando ora al fenomeno della caccia alle streghe, Federici nota come esso sia spesso stato letto e studiato esclusivamente attraverso una lente religiosa, piuttosto che sociale e razionale. Per contro, se in un primo momento è vero che la caccia alle streghe rispondeva alla condanna di un’eresia religiosa, a partire dal XVI secolo, questo fenomeno venne appropriato dallo Stato, usato come strumento di disciplinamento al fine di combattere forme di eresia sociale. Per eresia sociale, mi riferisco a tutti quei comportamenti che in un modo o nell’altro minavano le logiche dominanti. Per finire, tuttavia, se Federici individua i semi della misoginia contemporanea proprio all’interno di questo snodo sociale, io ritengo che questi, in parte, potessero esistere già a priori, per esempio all’interno di letture misogine della tradizione religiosa. Ciononostante, l’avvento del capitalismo non solo rinnovò e rafforzò tale misoginia sociale, ma soprattutto, la impose come unico sistema accettabile. L’elemento fondamentale, a mio avviso, è proprio il riconoscimento della misoginia sociale come intrinsecamente necessaria per l’affermarsi dell’egemonia capitalista.

Tenuto conto di queste repressioni e dei tentativi così ostinati di assoggettare il corpo femminile, nonché di degradare la donna proletaria, il cosiddetto ‘passaggio’ dal periodo feudale a quello capitalista, si colora di sangue e di violenza patriarcale. Invece di percepire tale ‘passaggio’ come naturale evoluzione storica, peraltro portatore di serenità e miglioramento sociale, è opportuno riconoscere le dinamiche autoritarie che lo produssero. Questa trasformazione sociale è il risultato di un tentativo della classe dominante di controllare, dominare e sfruttare le masse di lavoratori, i quali, gradualmente, si trasformano in macchine, il cui valore venne percepito esclusivamente attraverso il loro grado di utilità e produttività. Per di più, oltre a sconvolgere il pensiero diffuso riguardo l’avvento dell’odierno sistema capitalista, il libro è portavoce di una coscienza femminista profondamente intersezionale. La razza informa la classe, ed il genere anche informa la classe.

Nell’era dell’odierno femminismo neoliberale e del cosiddetto post-femminismo, è vitale mantenere una coscienza collettiva, capace di intrecciare a lotte femministe, lotte antirazziste e anticlassiste. Piuttosto che abbandonarci a logiche neoliberali di avido individualismo, è necessario mantenere una visione più ampia, che comprenda voci e lotte molteplici. Parafrasando bel hooks, sostengo che l’opera di Federici è fondamentale in quanto ci ricorda che "la sorellanza è ancora efficace". Se il femminismo è la lotta contro l’oppressione e lo sfruttamento patriarcale di ogni essere umano, dobbiamo mantenere una visione collettiva e globale, per cui nessuna persona sia lasciata indietro. Proponendo una storia delle donne che è al contempo una storia di classe e che riflette anche su dinamiche di dominazione coloniale, Federici compie un passo in questa direzione. In conclusione, la coscienza femminista che insieme all’autrice condivido, come lotta al patriarcato, lotta al razzismo ed al capitalismo, è una coscienza plurale e collettiva, una costellazione, vasta e variegata.

Referencias y notas

  • Federici, Silvia (2004). Caliban and the Witch. Women, the body and primitive accumulation. Autonomedia, Brooklyn, NY.

  • Hooks, Bell (2015). Feminism is for everybody. Passionate politics. Routledge, New York.

Escrito por

WhatsApp%20Image%202020-05-13%20at%2012.

Maria Emilia Sacchetti

Sono una studentessa di antropologia a Leuven, in Belgio, impegnata a costruire ponti tra questa disciplina e un attivismo femminista di matrice culturale, sociale, e politica. Questa attitudine di studentessa ‘impegnata’, l’ho coltivata nel tempo, ma sicuramente affonda le radici a Bologna, città in cui ho iniziato i miei studi universitari, e che mi ha aperto cuore e mente.

© 2020 by Archeliteratura.com

bottom of page